Chiese e conventi
Scritto da Webmaster il Ottobre 14 2007 20:25:26
Santa Maria La Nuova è il Duomo di Licata. Prospetta sulla piazza omonima e sulla parte quasi terminale del corso Vittorio Emanuele. Ha forma basilicale a croce latina, con tre navate e tre absidi e due cappelle lungo i bracci del transetto. L'attuale struttura appartiene ai rifacimenti del sei-settecento, dovuti all'ampliamento di una preesistente è più piccola chiesa della seconda metà del quattrocento, consacrata nel 1509, di cui restano il sontuoso ed artistico fonte battesimale di marmo bianco, dono di Giovanni Caro, signore di Licata e barone di Montechiaro, eseguito tra il 1498 e il 1499 dal maestro marmoraro Gabriele di Battista da Como, e il bellissimo Crocefisso Nero attribuito a Iacopo e Paolo de Matinali di Messina che lo eseguirono in mistura di legno nel 1469. All'interno del Duomo si possono ammirare numerose opere d'arte: i grandi quadroni degli altari delle navate (cm. 500x285) e i tre dipinti del battistero (cm. 325x170) appartengono al pennello del pittore cappuccino Fra Felice da Sambuca (1733-1805), la bellissima "Immacolata" del licatese Ignazio Spina, che scolpì anche le statue lignee degli altari delle absidi laterali: "Il Cuore di Gesù" e "San Giuseppe con il Bambino". Gli affreschi della volta della navata centrale e gli affreschi della volta del transetto, con scene del Vecchio Testamento, e i quattro pinnacoli alla base della falsa cupola sono di Raffaele Politi (Siracusa 1783-Agrigento 1870) che li dipinse a partire dal 1824. L'organo fu progettato ed eseguito nel 1898 dalla Casa Organara del cav. Pacifico Inzali di Crema. E' uno dei due che vennero da questa casa progettati per la Sicilia. Nell'abside campeggia dietro l'altare maggiore un grande dipinto su tela (cm. 470x320) con la "S. Natività della Vergine e i Santi Pietro, Paolo e Angelo", attribuito ad un anonimo fiammingo della 1a metà del XVII sec. Alle pareti dell'abside si possono ammirare, a sinistra,"L' Adorazione dei Maggi", un dipinto su tela (cm. 350x185) di Fra Felice da Sambuca, a destra, "La S. Natività", un raro dipinto su tavola (cm. 190x160) del 1572, attribuito all'estro di Deodato Guinaccia. La cappella del Crocefisso (m. 16,50x7,80), un'opera realizzata completamente in legno scolpito e finemente cesellato e dorato, è sicuramente l'ambiente più prezioso della Chiesa Madre. Il soffitto è a lacunari lignei, unici a Licata, fu completato nel 1705, il bellissimo altare, pure in legno scolpito, con elevazione coperta da un timpano spezzato sostenuto da un insieme aggettante di colonne tortili, appartiene al maestro Giuseppe Di Bernardo che lo realizzò nella prima metà del seicento. I quattro dipinti su tela della navata (cm.380x200) con scene della Passione di Cristo sono del veneziano Giuseppe Cortesi (1721-1737), mentre di Nunzio Magro (? 1627-Agrigento 1704) sono i cinque ritratti su tela (179x128) di personaggi del Vecchio Testamento. Al licatese Giovanni Spina, invece, appartiene il paleotto dell'altare (1810). Nella pregiata custodia dell'altare il Cristo Nero, "miracoloso e colpito dalla sagitte del turco", una volta pendente dall'arco trionfale della navata, che i Licatesi ritengono sia rimasto annerito dal fuoco delle cataste che i Turchi, durante il sacco seguito all'11 luglio 1553, vi accesero sotto per bruciarlo. Ai piedi della navata un'artistica teca custodisce varie reliquie di Santi e rari documenti, tra cui l'atto di battesimo di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, cardinale teatino, compatrono di Licata. Di grande pregio artistico è la teca d'argento contenente la reliquia della Santa Croce, eseguita dall'orafo licatese Tommaso Balsamo nel 1753 per conto del canonico Angelo Alotti che la donò alla Cappella del Crocefisso.
Nel braccio sinistro del transetto esisteva un'altra cappella lignea, fatta costruire nel 1786, meno pregiata, ma con uno stupendo soffitto cassettonato e un mirabile altare ligneo intagliato con decorazione fitoforma. Era detta cappella della "Madunnuzza" per il piccolo dipinto su tavola (cm. 85x50) del XVII sec. con la Madonna e il Bambino che vi adorava. Il fuoco, provocato da un corto circuito la distrusse completamente nell'autunno del 1988, unitamente alla quadreria con i ritratti dei canonici e gli arcipreti della Collegiata, gli antichi paramenti, gran parte dell'archivio parrocchiale e altre opere d'arte.Nell'Ufficio Parrocchiale sono custoditi preziosi documenti d'archivio, tra cui antiche bolle pontefici e vescovili, diversi interessanti volumi manoscritti e il prezioso volume manoscritto contenente i miracoli di Sant'Angelo, martire carmelitano, raccolti a partire dal 1625 dal not. Giacomo Murcio. Chiesa di San Francesco. La sua edificazione risale al 1319. I PP. Francescani utilizzarono inizialmente la preesistente chiesetta di S. Giovanni Battista, ottenuta dai Cavalieri Gerosolimitani, edificandole accanto una loro casa per ospitare trenta fratelli dell'ordine del minori conventuali. Dopo il sacco dei Turchi dell'11 luglio 1553 la chiesa venne quasi totalmente riedificata assumendo l'attuale struttura ad una navata con abside ed altari laterali ed una cappella. Grazie ai lunghi lavori di ampliamento e di restauro la chiesa e l'annesso convento assunsero una vesta artistica e maestosa, sicuramente la più monumentale di Licata. Sorge nella parte mediana dl Corso Vittorio Emanuele e fa da cardine del quartiere barocco e della città antica. Il suo marmoreo prospetto, dalle linee tardo seicentesche, con risentito telaio di membrature e plastico aggetto di timpani e cornici, fu eseguito nel 1750 su disegno dell'architetto trapanese Giovan Biagio Amico. La volta della navata fu affrescata non più tardi della prima metà del 700 da un anonimo pittore con tre scene della vita di San Francesco.
Sul lato sinistro della navata si apre la bellissima cappella dell'Immacolata col prezioso altare di legno intagliato e dorato della prima metà del 700. Tra due colonne che rivelano il gusto manierato di quest'opera , una nicchia custodisce una delicatissima immagine della Vergine scolpita nel legno, coperta da un dipinto su tela dell'Immacolata opera dell'artista palese Domenico Provenzali. Nel vano della cappella si ammira anche una straordinaria immagine lignea del Cristo alla colonna di Ignazio Spina (Licata 1829-1914) con chiari accenti realistici di sicura età settecentesca. Sotto la cantoria lignea del settecento, che sovrasta l'ingresso della chiesa e custodisce ancora un antico organico a mantice, si trovano le tombe marmoree del capitano spagnolo Diego de Figueroa (1587) e del duca della Catena Palmerio Serrovira (1730), nobile licatese. Dei cinque altari della navata il più interessante è il secondo da sinistra con un Crocefisso ligneo tardo seicentesco di discreta fattura e con il sottoarco ricoperto da quadretti reliquiari, mentre una stipite lignea ricavata sull'alzato della mensa dell'altare custodisce la Vergine Assunta giacente, già nella chiesa del convento dei PP. Cappuccini, coperta da un dipinto su tela (cm. 80x208) con lo stesso soggetto, opera di P. Serafino da Licata (Licata 1785-1825). Nell'abside a struttura pentagonale, oltre all'altare marmoreo principale e il coro ligneo con 22 stalli con serrato coronamento dei più tipici elementi decorativi del XVIII sec., si custodisce una preziosa edicoletta di legno finemente lavorata e dorata con colonnine tortili ed antiche che ospita un Bambino Gesù collocabile nell'ambito della produzione artistica popolaresca del Seicento.
Dal coro che ospita numerosi ritratti di padri francescani licatesi, si accede nella grande sagrestia, una volta ricca di sfarzosi armadi lignei con i paramenti degli officianti. Sulla porta della sagrestia un dipinto del Seicento con San Giovanni Battista che battezza Gesù. La chiesa conserva ancora diverse serie di candelabri del XVIII e XIX secolo in legno intarsiato, di buon artigianato locale, alcuni ostensori e calici in lega di metallo argentato e dorato, opera di argentiere siciliano del XVIII secolo, una tela (cm. 90x70) con un delicatissimo primo piano dell'Immacolata finemente modellata da Domenico Provenzali. Il convento, che prospetta su piazza Elena, via San Francesco e piazza Sant'Angelo, ha un pregiatissimo chiostro restituito al suo antico splendore da un recente restauro. All'interno ancora custodisce una rara cappella lignea, detta dell'Infermeria, dove i frati infermi andavano a dire o a sentire messe. Le sue pareti e il suo altare sono impreziositi da pannelli dipinti con scene del Vecchio Testamento, mentre sull'altare stava un dipinto dell'Immacolata in gloria dentro preziosa cornice lignea scolpita, opere sempre del Provenzani. Nella seconda metà del settecento il convento ospitò la prima scuola pubblica di Licata, detta Liceo Serroviriano, fondata da suor Marianna Serrovira, badessa del locale convento delle cistercensi, ricca e potente erede della famiglia Serrovira, ed una accademia di poeti arcadi.
Chiesa di Sant'Angelo. E' la chiesa patronale di Licata ed è intitolata a Sant'Angelo Carmelitano che nel luogo dove questa chiesa sorse nel maggio del 1220 subì il martirio per mano del regio castellano della città, tal Berengario La Pulcella. L'attuale impianto chiesastico, che prospetta monumentale sull'omonima piazza, con struttura basilicale a tre navate con transetto e cappellone sul lato sinistro dell'abside, risale ai lavori di totale rifacimento della precedente chiesa, che ebbero inizio a partire dal 1639. La sua realizzazione richiese più di 150 anni. Si ha la certezza di un progetto del 1658 firmato da Angelo Italia, architetto gesuita licatese, che diede un
tangibile contribuito ai suoi restauri dopo il sisma dell'11 gennaio del 1693 e alla costruzione della sua cupola nel 1696. Le dodici colonne delle navate provengono dalle cave di Billieme. Vi si ammira oggi il pozzo miracoloso, dove sarebbero state scoperte le reliquie di Sant'Angelo, realizzato con una artistica balaustra ottagonale nel 1673 dal maestro marmoraro trapanese Giovanni Romano, committente il barone Francesco Vincenzo Buglio Minafria e Serrovira. Sul puteale si trova la delicata statuina (cm. 52) in marmo bianco venato di Sant'Angelo sul letto di morte. A sinistra della navata l'antica cappella di Sant'Angelo, che ospita le reliquie e l'urna d'argento del Santo Patrono, rifatta nel 1731 e protetta da un alto ed artistico cancello in ferro battuto progettato dal can. Angelo Italia, architetto della Curia agrigentina, e realizzato dai maestri Giuseppe Lo Blundo di Licata e Giovanni Lauricella di Agrigento.
La chiesa custodisce ancora numerose e pregiate opere d'arte. Nelle navate si ammirano il dipinto della Madonna della Lettera (cm. 210x128), di ignoto siciliano del Seicento, due tele di ignoto artista del 600 con Sant'Angelo in estasi e con il Martirio di Sant'Angelo, poste nel transetto a destra e a sinistra dell'abside, il dipinto dell'Ecce Homo ( cm.140 per lato) degli inizi del XVI secolo, dove l'anonimo artista si richiama alle esperienze pittoriche di Antonello da Messina, le statue lignee del Settecento del profeta Elia, di San Francesco di Paola e della Madonna di Trapani. Nella cappella di Sant'Angelo si custodiscono i preziosi dipinti su tela con i SS. Filippo e Giacomo (cm. 350x220), di anonimo artista siciliano del 700, e la Deposizione (cm. 350x225) di Gioacchino Martorana che dipinse nel 1778. Assai prezioso è il tesoro di Sant'Angelo, costituito da numerosi pezzi del 700. Tra i più pregiati il paliotto d'altare (cm 280x100), in pesante lamina d'argento sbalzato su velluto rosso con al centro un medaglione pure d'argento con il santo benedicente e un ostensorio d'argento (alt. cm. 55) con incastonati, attorno al vuoto centrale, quattro lapislazzuli, sette rubini e quattro smeraldi. Ai piedi delle navate stanno i cenotafi e i sarcofagi marmorei di Angelo Frangipane e Celestre (1795), del marchese Gerolamo Frangipane (1758), del marchese Domenico Cannada (1762), della baronessa Isabella De Caro e Miano.
Al 1748 risale il nuovo prospetto della chiesa, rimasto incompiuto, ma parzialmente completato nella parte centrale con due ordini di colonne. Non furono mai realizzati i due previsti campanili laterali. Non si conosce il progettista, ma si sa che il lavoro eseguito nel 1752 venne valutato dal canonico Angelo Italia, architetto ed "ingegnerio" della Diocesi di Agrigento, e dall'arch. Giovanni Biagio Amico. La costruzione dell'annesso convento, di cui oggi si può ammirare il restaurato chiostro, venne deliberata nel 1625. Al suo interno si ammirano numerosi dipinti non molto pregiati, alcuni provenienti dal convento del Carmine maggiore. Soppresso l'Ordine dei Carmelitani dopo la proclamazione del Regno d'Italia, il convento, adibito anche a caserma, nel 1867 ospitò Edmondo De Amicis, l'autore del libro "Cuore", allora comandante la 9a compagnia del 57à reggimento di fanteria di stanza a Licata.
Chiesa di Sant'Agostino. Elevata a santuario nel 1973 con decreto vescovile, la sua costruzione risale al 1611, quando i padri agostiniani ottennero dal Vescovo il possesso dell'antica chiesa di Santa Margherita presso il regio Caricatore, che trasformarono completamente e vi edificarono accanto una casa per la loro comunità che la mantenne, seppur con qualche interruzione sino al 1735. E' la chiesa per eccellenza dei lavoratori del porto che si sono aff
idati alla protezione della Madonna Addolorata, la cui artistica immagine lignea del 700, attribuita a tal Giuseppe Piccone, sconosciuto allievo del Serpotta, di recente restaurata, è custodita sull'altare maggiore. La Vergine porta al collo un medaglione d'argento con le reliquie della colonna della flagellazione ed è coronata da una stellario d'argento. Un pugnale pure d'argento emerge dal suo cuore trafitto dal dolore. A parte qualche elemento architettonico di rilievo nel prospetto, l'interno della chiesa, una piccola navatella di pochi metri, custodisce un dipinto su tela (cm. 235x190) del 700 con la Madonna della cintura con il Bambino e i SS. Agostino e Monica ed un Crocefisso ligneo della stessa epoca molto espressivo e di pregiata fattura. Il sottoarco dell'altare maggiore è adornato da sette dipinti su tela di forma circolare (diametro cm. 42), attribuiti al pennello del licatese Giuseppe Spina che vi ha illustrato i sette dolori della Vergine
Chiesa di San Gerolamo. Si trova nel cuore della vecchia Marina, nel piano omonimo e si raggiunge o da via Sant'Andrea o da via Martinez. Già parte dell'antico monastero di Santa Chiara, nel 1578 divenne l'oratorio della confraternita della Misericordia che la mantiene ancora oggi. L'edificio, di modesta architettura e ad una sola navata, custodisce sull'altare principale un grande dipinto su tela (cm. 300x250), chiuso da artistica cornice di legno scolpito e dorato, con San Gerolamo nella fossa dei leoni, opera seicentesca di un non conosciuto seguace della scuola caravaggesca in Sicilia. Nell a sagrestia si custodiscono i sacri legni del Cristo crocifero, il cristo deposto, l'urna lignea e le croci del Calvario per la ricorren
za del Venerdì Santo. Chiesa di San Giacomo Apostolo, oggi del Purgatorio. Sorge presso piazza Elena, annessa alle fabbriche dell'antico ospedale di S. Giacomo d'Altopasso, retto dalla omonima confraternita dei Nobili. Della sua esistenza si trova notizia ante 1177. La sua unica navata, coperta da soffitto ligneo cassettonato, ospita, oltre all'altare principale, due altari laterali. Sull'altare maggiore si ammira una grande pala dipinta su tela con Le anime sante del Purgatorio dipinta nella prima metà del XVIII secolo da Filippo Randazzo. Alla parete sinistra del presbiterio il dipinto su tela (cm. 390x210) con la Madonna del Lume del XVII secolo attribuibile ad ignoto allievo della scuola del panormita Vito D'Anna. Buono è lo stato di conservazione e il soggetto è di notevole qualità. Alla parete destra il dipinto su tela (cm. 232x174) con La Parabola del Convivio, di ignoto artista del 700 della scuola o del Provenzani o di Raimondo De Bernardis. La navata ospita altri quattro dipinti su tela (cm. 250x113) entro cornici di gesso raffiguranti i quattro evangelisti, attribuibili al Provenzani.
Chiesa della Carità. Sorge nell'omonimo piano, accanto alla Villa Elena. Edificata nel 1622, fu la chiesa dell'omonima confraternita, ancora oggi esistente ed operativa. Di modesta architettura il suo prospetto; assai pregiato, invece, è il corredo pittorico ed artistico della sua unica navata voltata, decorata di stucchi azzurri in campo bianco. Di modesto pregio il dipinto (cm. 229x178) con Sant'Angelo e il Beato cardinale Giuseppe Maria Tomasi di Giuseppe Spina (Licata 1790-1861). Assai pregiato è l'altare in marmo rosso con colonne tortili, sormontate da un fregio spezzato, realizzato nel 1739, così come di grande valore artistico è la statua lignea della Madonna della Carità (alt. cm. 150), eseguita nel 1735 da tal Pietro Catalano, committente Suor Maria Anna Serrovira e Figueroa, badessa del vicino partenio cistercense. D'argento è la corona con stellario, donata alla Madonna dalla medesima Serrovira. Nella navata si ammirano sei dipinti su tela (cm. 150x65) di Giuseppe Spina con le Beatitudini. Gli affreschi della volta, attribuibili pure a Giuseppe Spina, raffigurano la "Dormitio", l'"Assuntio" e la " Incoronatio" di Maria Vergine. Nella sede della confraternita si custodisce il prezioso tesoro di argenti della chiesa, le antiche scritture e l'archivio, e altri dipinti su tela di Giuseppe Spina di pregiata fattura, quali La Madonna della SS. Carità (cm. 223x114), l'Adultera (cm.190x139) e La Samaritana (cm. 190x139). Di un certo interesse artistico è il Cristo flagellato, della 2° metà del sec. XVIII, di Giovanni Spina, padre di Giuseppe, realizzato con apprezzato realismo.
Chiesa del San Salvatore. Prospetta sull'omonimo piano tra l'ala meridionale del convento di Sant'Angelo e l'ala settentrionale della Badia cistercense. Esisteva già prima del 1563 ed appartiene all'omonima confraternita ancora esistente. Il suo scenografico prospetto risale al 1697, mentre il campanile, altrettanta pregiata architettura, fu costruito nel 1773. Manca, purtroppo, l'artistica cancellata in ferro battuto disegnata nel 1875 dagli ingegneri Geremia Delia e Giovambattista Merlo. La sua unica navata, impreziosita da stucchi bianchi su fondo celeste, custodisce ancora tra cornici di gesso, alcuni dipinti su tela (cm. 150x72) con i Santi Apostoli ed alcuni episodi del Nuovo Testamento, La guarigione degli storpi (cm.139x 190), attribuibili a Giuseppe Spina. In una nicchia alla parete destra, un Cristo di legno alla colonna (altezza cm. 155), attribuibile ad un artista locale del 700, forse Giovanni Spina, che ha trattato con molto realismo il volto di Gesù dolorante. Di Ignazio Spina è, invece, il Crocefisso ligneo della navata. Sulla volta gli affreschi di Giuseppe Spina con gli episodi della Moltiplicazione dei pani e L'Ultima cena. All'ingresso, in una nicchia, la statua lignea del 700 di Santa Barbara.
Chiesa di San Paolo dei Maltesi. Fu edificata per servire il nuovo quartiere extra moenia, nato per ospitare i profughi maltesi in fuga dalla loro isola continuamente attaccata dai pirati turchi. Fu aperta al culto nel 1623. Si erge, in alto, al termine della via San Paolo. Della sua antica struttura oggi non esiste più nulla. Addirittura la sua pianta fu completamente girata ed allungata. Si possono, tuttavia, ammirare, oltre alla statua lignea del 700 di San Paolo, alcuni dipinti, anche di pregiato risultato artistico: La Madonna del latte (cm. 50x70) di Domenico Provenzani (1790), l'Immacolata (cm. 60x76) e il Cuore di Gesù di Domenico Provenzani, Sant'Angelo (cm. 63x78) di Ignazio Spina, San Francesco, la Madonna e Santi (cm. 106x123) di R. Manzella (1873). Nella sagrestia si custodiscono alcuni armadi lignei del 700 con reliquiari e dipinti con l'Immacolata.
Chiesa di Santa Maria di Gesù. Così la intitolarono i Francescani dell'osservanza. Ma è anche detta Santa Maria La Vetere e Santa Maria del Monte. E' la più antica chiesa di Licata e sorge su un terrazzo della media costa della via Santa Maria, a circa 40 metri s.l.m., con vista verso oriente. Fu elevata a parrocchia nel 1949, chiusa al culto negli anni sessanta e restaurata a partire dal 1979, è stata riaperta al culto nel 1988. La sua fondazione, con l'accesso cenobio di PP. Benedettini, risale al 580 d. C. ed è attribuita alla Beata Silvia, madre del papa S. Gregorio Magno. Le attuali strutture risalgono alla sua completa riedificazione da parte dei Benedettini, avvenuta tra la fine del 1200 e l'inizio del 1300. Ha impianto basilicale con tre navate divise da pilastri, trasformate più tardi in colonne, e da archi di sesto acuto, oggi, dopo i restauri, coperte da volte travate. In origine le sue pareti erano affrescate. Rimane ora qualche traccia di affresco, emerso dai restauri, riproducente San Gregorio Magno. Nel 1589 venne concessa ai PP. Francescani dell'Osservanza che vi eseguirono radicali interventi di ristrutturazione, ampliando anche l'annesso convento, diventato nel periodo post unitario ospedale civico.
Il presbiterio si apre con un arco trionfale a pieno centro di epoca tardo cinquecentesca sostenuto da due esili colonne corinzie su alto plinto, decorate alla base con fiorami a rilievo. Al 600 si possono attribuire i sei bellissimi altari laterali, tre per navata, dotati di maestosi paliotti in stucco sbalzati. Al 700 appartiene la bellissima custodia lignea, dipinta in oro, dell'altare maggiore, opera squisita certamente di un anonimo artista francescano. Intorno al 1741 fu completato il rivestimento con pannelli lignei scolpiti delle pareti delle navate e dei rispettivi altari. Sei lacunari ottagonali, tre per navata, ospitano altrettanti episodi di vita francescana dipinti su tela.
Nonostante i gravi danni provocati dai vandali nel periodo della inattività ed abbandono, la chiesa di Santa Maria conserva ancora numerose opere d'arte: L'Addolorata, un dipinto su tela (cm. 111x85) della 2a metà del XVIII sec., molto vicina ai modi del tardissimo novellesco Giuseppe Felici da Trapani, San Gregorio Magno in trono, un dipinto su tela(cm. 220x170)del XVII secolo, Le anime sante del Purgatorio, un dipinto su tela (cm. 125x96) davvero degno di interesse per l'impostazione delle figure e per i toni veristici e drammatici e soprattutto per le vivaci tonalità cromatiche, la statua lignea del XVII sec. di san Michele Arcangelo (alt. cm 140 dal piedistallo), le statue lignee di San Francesco (alt. cm. 151), di Sant'Antonio da Padova (alt. cm. 152), e di San Pasquale, tutte quante riferibili alla 2a metà del 700. Significativa è la statua di San Calogero (alt. cm. 172), proveniente dal vicino santuario rupestre. La statua, realizzata nel 1726 in tela di iuta stuccata e dipinta, è molto rigida nella impostazione e ripete le caratteristiche di certi prototipi iconografici tradizionali esistenti in molte parti dell'Agrigento, dov'è radicato il culto del Santo nero. L'abside della navata sinistra ospita l'immagine lignea della Madonna delle Grazie, proveniente dall'omonima e non più esistente chiesetta. I dodici quadretti della Via Crucis (cm. 58x42) potrebbero essere gli stessi che il pittore licatese Giovanni Portaluni dipinse nel 1625. Alla chiesa appartiene il Crocefisso di bronzo di S. Carlo Borromeo, portato a Licata da don Pietro Pardo, capitano di fanteria spagnola.
Interessante da visitare è la cripta scoperta proprio al centro della navata e attribuibile alle opere di rifacimento dei Francescani. Si tratta di una ambiente a pianta rettangolare, voltato a botte, con due file di sedili, sui lati lunghi, destinati in origine ad accogliere i cadaveri. Sul fondo era collocato un altare in muratura di gesso. Pure interessante è il pozzo di età ellenistica scoperto durante i restauri nella zona della navata destra.
Chiesa di San Domenico. Con il suo barocco prospetto del 700 si impone al termine di una alta gradinata a metà circa del corso Roma, percorrendolo in direzione nord. Fu edificata sulla preesistente chiesa di Sant'Antonio Abate dai PP. Domenicani che la ottennero nel 1630 e vi edificarono accanto il loro convento. L'interno è ad una navata con abside. Assai prezioso è il suo corredo artistico. Sei dipinti su tela (cm. 290x135) di ignoto pittore del 700 di altrettanti santi domenicani, tra cui San Giacinto da Cracovia, percorrono la navata da sinistra a destra. Il battistero, posto in un angolo a sinistra dell'ingresso, è adornato da una grande tela (cm. 330x230)
con Sant'Antonio Abate e storie della sua vita di Filippo Paladini (Casi 1544-Mazzara 1614) che la dipinse nel 1603. Sull'altare maggiore troneggia la grande pala su tela (cm. 480x340), opera del Paladini (1612), con la S. Trinità e Santi. Alla parete sinistra del presbiterio il dipinto con La strage degli innocenti (cm. 286x200), composto dentro ampia ed artistica cornice finemente dorata, di ignoto autore del 700 che ha voluto riprodurre, forse da una stampa, l'opera di Rubens custodita all'Alte Pinakothek di Monaco. Ai piedi della navata, sui due primi altari, due pale su tela dipinte da Domenico Provenzani: L'apparizione dei SS. Pietro e Paolo a San Domenico (cm. 339x235), La predica di San Vincenzo Ferreri (cm. 335x 236). Dell'antico convento resta solo il prospetto lungo il corso Roma in gran parte manomesso. Del chiostro e degli ambienti interni non esiste più nulla. La cripta di recente restaurata conserva ancora le sue antiche volte, ma già da lunghissimo tempo risulta essere stata svuotata delle tombe che custodiva.
Chiesa del Carmine o dell'Annunziata. Sorge sulla piazza omonima, angolo via G. Amendola. La sua edificazione risale al 1200, ma la sua attuale struttura è conseguenza del totale rifacimento compiuto tra 600 e 700. L'interno è ad una navata con abside e quattro altari laterali. Diversi i dipinti che adornano la adornano. A Domenico Provenzani sono attribuiti i dieci medaglioni (cm. 190x115), posti tra gli altari e l'abside, con i Santi carmelitani, tra cui Sant'Angelo e Sant'Albberto. A Giuseppe Felici (Trapani 1656-1734) appartengono i dipinti su tela (cm. 305x 205) che adornano i due primi altari della navata, eseguiti nel 17
32: La morte di San Giuseppe L'estasi di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Della scuola del Gagini è l'arco in marmo bianco del secondo altare del lato sinistro della navata, dove sono effigiati i fondatori di Gela e le armi araldiche del committente. Sull'altare maggiore la bellissima statua lignea della Madonna di Trapani, recente restaurata e restituita alla sua originaria cromia. Dietro l'altare maggiore, la sagrestia che, seppur manomessa negli anni, conserva ancora la sua originaria volta a crociera ascrivibile al XIII-XIV sec. partita da robuste nervature che poggiano sui piedritti angolari. L'arredo ligneo che la arredava è andato distrutto nel corso di un incendio doloso, unitamente ad alcune opere d'arte di buon livello artistico. Sono scampate alle fiamme, che comunque hanno lasciato il loro segno, una statuina in alabastron della Madonna di Trapani ed una riproducente San Gerolamo.
All'ingresso, sotto la cantoria, ormai priva dell'antico organo, sono stati sistemati gli artistici sepolcri marmorei, provenienti dalle cappelle gentilizie non più esistenti, alcuni con il letto funebre, altri con il busto a tutto tondo del defunto, di Andrea Minafria (1576), di Palma Minafria (1579), di Antonia Belvisa Plancto (1607), di Giovambattista Formica (1626), di Antonio Serrovira Anelli (1637) e di Tomma si Impellizzeri. E' stata distrutta la cappella gentilizia che ospitava le tombe della potente
famiglia baronale dei Caro. L'artistico prospetto marmoreo, molto articolato nelle sue linee, è il più bello e monumentale di Licata assieme a quello della chiesa San Francesco. Fu disegnato dall'architetto Giovan Biagio Amico da Trapani e fu eseguito da maestri scalpellini e marmorari trapanasi tra il 1746 e il 1748. L'attiguo convento, di recente restaurato nel prospetto, è pure assai antico ed era annoverato tra i più importanti della provincia carmelitana di Sicilia. Ospi tava quaranta religiosi e numerosi conversi e venne scelto dall'ordine come casa e collegio di studi per l'intera Sicilia. Più volte ampliato nei secoli, la forma attuale si deve alla ristrutturazione di Giovan Biagio Amico che tuttavia inglobò nelle nuove fabbriche il bellissimo chiostro del cinquecento con archi a pieno centro ed esili ed eleganti colonne di marmo. Sul lato settentrionale del chiostro si conservano ancora elementi significativi dell'antica ed elegante aula capitolare del 300 con porte e finestre di inconfondibile stile chiaramontano, simili a quelle del monastero di Santo Spirito di Agrigento.